domenica 9 aprile 2017

Intervento di Giovanni Tortelli alla presentazione del libro di Pucci Cipriani "Dal natìo borgo selvaggio"

Con Dal natio borgo selvaggio si entra nel vivo della vita dell'Autore, nel vivo del suo cuore, e la cosa si fa seria perché allora non si tratta più di filosofeggiare su parole e concetti, ma parole e concetti si fanno carne viva, la carne di chi ha vissuto direttamente volti, personaggi, luoghi, eventi che non sono più ma che — a distanza di anni, forse anche di molti anni — sono ancora capaci di provocare gioie e dolori, passioni ed emozioni che il tempo non scalfisce perché costituiscono la nostra "storia sacra".
Sì, storia sacra: con l'Incarnazione di NSGC la vita di ciascuno di noi è diventata storia sacra perché — con tutti i nostri fatti e misfatti — siamo stati "ricomprati" cioè redenti da Gesù Cristo, e a caro prezzo, grazie al suo sangue sul legno della croce. Solo che questa redenzione non scatta automaticamente ma va attivata dall'uomo stesso, esattamente come diceva Attilio Mordini: "La storia è sacra solo per il vir bonus dicendi peritus, cioè per l'uomo che conforma il suo dire — e quindi anche il suo fare — all'ascolto del Verbo universale cioè Cristo, in modo da ordinare il suo cammino dal caos al cosmo, all'ordine".
Io credo che questa importante affermazione la possiamo tranquillamente applicare anche a Pucci Ciprini, senza volere con ciò farne il panegirico: non è forse sempre stata la sua vita un conformarsi all'ordine di Cristo anche a costo di battaglie che hanno messo in croce anche lui? Pucci non è stato e non è solo il vir bonus, cioè onesto e valente, ma anche il peritus dicendi, ha fatto esperienza dell'ascolto di Dio e lo ha testimoniato come lo testimonia tuttora. Tanto che, se dovessi fare un raffronto anche con un recente passato, non esiterei s metterlo al fianco di quei «cattolici belva» come Domenico Giuliotti e Giovanni Papini che, con una lungimiranza che sapeva già di profezia, si scagliavano negli anni Cinquanta contro un Chiesa che essi vedevano avviata verso le spire di un modernismo che l'avrebbero prima o poi soffocata e spenta. E non è forse ciò che è successo esattamente col Concilio che ha strozzato la Chiesa e con questo sciagurato cinquantennio di post-concilio che le ha dato la stretta finale al collo? E non è forse fin dagli anni Sessanta che Pucci Cipriani è in trincea per difendere la Chiesa e i valori posseduti dalla Chiesa e per essa dalla civiltà occidentale fino alla tragica Rivoluzione francese? Ma vorrei anche aggiungere che l'Autore ha avuto il privilegio, se così si può chiamare, di vivere all'incrocio di grandi eventi storici: il Concilio Vaticano II — forse il più tremendo per i destini della Chiesa fra tutti i 21 Concili susseguitesi fino ad oggi -, il famigerato '68 politico che ha infettato tutta l'Europa togliendole ogni valore verticale e impostando tutta la vita privata e sociale su un cieco ed ottuso democraticismo, un insensato europeismo e un pericolosissimo solidarismo. Da società imperniata sulla caritas cristiana, siamo diventati una società filantropico-massonica-opportunista. Non è poco per un protagonista come Pucci stare sulla breccia di tutti questi avvenimenti, che egli ha cavalcato con la baldanza, ma anche con l'onestà intellettuale e coerenza che sempre hanno contraddistinto la sua azione sia nel campo politico che in quello religioso.
E ora Pucci ci regala questo nuovo libro, che potremmo chiamare di memorie, vista anche la ricchezza della bellissima documentazione fotografica, ma che così — a mio modesto parere — è solo apparentemente: perché le memorie di Pucci sono frammiste a riflessioni, commenti, attualizzazioni e considerazioni sulla vita e sulla decadenza d'oggi che fanno piuttosto, del Natio Borgo Selvaggio una costellazione di ricordi, di riflessioni e di idee rivolte al passato ma con l'occhio al futuro. Una costante di tutta quest'ultima fatica di Pucci è il ricorrente pensiero dell'Autore sui bambini di ieri e di oggi, questo per sottolineare l'importanza che l'educazione degli adolescenti ha avuto e ha nella vita dell'Autore non solo come docente ma anche come uomo pubblico e politico. Perciò, non solo per rimanere nel campo della vita e della poesia leopardiana da cui il titolo del libro prende spunto, ma anche pera la sostanziale ragione contenutistica che ho detto, preferirei assegnare quest'opera non al genere semplicemente cronachistico quanto a quello dello "zibaldone" inteso in senso tecnico come raccolta estemporanea e solo apparentemente casuale di pensieri e ricordi che però si tengono nel filo logico intellettuale e culturale del vissuto dell'autore.
Quindi col Natio Borgo, non sono i ricordi che "fanno" il libro, ma i ricordi sono il mezzo per far emergere i connotati spirituali e culturali dell'Autore. Infatti la scansione temporale dei luoghi, dei volti, dei personaggi, degli eventi — pur importante per classificarli nella loro storicità — non però determinante rispetto al messaggio. E i messaggi sono tanti, e tutti per così dire "elevano" il racconto sul piano della riflessione e della rimembranza, non quindi del mero ricordo: è il caso del ricordo delle varie feste della Vittoria del 4 novembre celebrate con fasto di autorità locali e di bancarelle di dolci vari ma che si accompagna alla amara considerazione che fu la gran loggia massonica a volere una guerra contro la cattolica Austria, che mandò al massacro centinaia di migliaia di giovani. O quando racconta il valore della politica in una persona come Giuseppe Paladini, personaggio noto anche a Firenze e amico della famiglia Cipriani. E quel parlare dei rosari recitati non solo dalle donne ma anche dagli uomini alla fine della giornata di lavoro, al desco fiorito degli occhi dei bambini: non si tratta solo di rimpianti del tempo che fu, qui siamo di fronte ad un amico che ci passa la parola per il futuro, un nodo estremamente di essere "tradizione vivente".
Nel Natio Borgo si apprezzano anche gli aspetti letterari di un Autore che ama soprattutto Pascoli, Carducci, i crepuscolari, Gozzano, Corazzini e anche qui è un riproporre all'attenzione di chi ha la responsabilità dell'educazione scolastica, di tutto un filone che ha cantato la famiglia, la patria, la morte, il dolore e il pianto e anche il valore nazionalista e che ora viene sorvolato, ignorato o addirittura deriso. Oggi c'è il pensiero unico che obbliga tutti a star bene, a far finta che il male non esista e comunque isolarlo quando succede. Un pensiero unico e laicista che purtroppo è riuscito, almeno apparentemente, a far piazza pulita non solo dei ricordi del passato ma anche di quell' ordine alla sequela di Cristo di cui parlava Mordini.
E ora, come ultimo cenno al Pucci Cipriani politico, credo che il miglior modo di riassumerlo sia ricordare quel scriveva a proposito della democrazia il cattolico reazionario francese Barbey d'Aurevilly (1808-1889):
"Vi è forse qualche cosa di più rivoltante e disgustoso per le anime nobili e fiere, di quei sistemi di governo a far parte dei quali nessuno è scelto per il suo personale valore, ma per il valore che non ha ? Vi è nulla di più ripugnante per un uomo che si sete scorrere un sangue generoso sotto l'unghie, d'uno stato di cose pel quale viene portato sugli scudi il primo venuto, come la scimmia sulla groppa del delfino? Non v'ingannate! Questa è l'essenza della democrazia, aver tra mano delle marionette che si posson buttar nel sacco quando si è tagliato loro il filo" Consoliamoci invece, caro Pucci, di fronte a questo impero democratico e nichilista che stiamo vivendo, ricordando quel che scriveva nemmeno troppi anni orsono il grande filosofo reazionario Romano Amerio nel suo Zibaldone: 'Il celebre motto di Cavour: «Libera chiesa in libero Stato» viene inteso come una formulazione di libertà, mentre è una formulazione di autocrazia. Si crede cioè che la Chiesa sia nello Stato mentre la Chiesa è una società assolutamente indipendente che ha in se stessa tutti i mezzi per sussistere e non è una parte dello Stato. L'errore di fondo è che lo Stato sia la società di tutto il genere umano e contenga in sé e subordini tutte le altre società. Invece lo Stato è una società particolare e la Chiesa, la famiglia, la corporazione sono società perfette senza dipendenza alcuna ".
E preghiamo perché, in qualche modo, quest'ordine possa venire restaurato.

Firenze, 8 aprile 2017

Giovanni Tortelli

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